lunedì 16 giugno 2014

La grande bellezza

Quando frequentavo le scuole superiori c'era una lettrice di lingua inglese, afroamericana, che veniva a guadagnarsi lo stipendio nella nostra aula.

Un giorno ci accusò gratuitamente di non essere "veri" italiani, con le nostre scarpe della Nike. Di tutt'altra pasta erano invece gli italoamericani di new york: sempre eleganti, impeccabili, attaccati alle loro vere tradizioni.

Per lei dovevamo venire a scuola vestiti chi da colombina, chi da arlecchino, chi da pulecenella e chi dalla fregna di sua madre col cancro al pancreas.

Una persona con un po' più di coraggio e non influenzata dal terrore di sembrare razzista che affligge la società occidentale le avrebbe risposto, per esempio, che allora lei -- essendo negra -- avrebbe dovuto presentarsi con un osso nel naso e le zinnacce calate di fuori con uno o due creature attaccate. Opzionalmente, a mostrare la sua posizione sociale, avrebbe anche potuto appendersi una sveglia al collo. Un cesto di frutta in testa avrebbe completato questo tributo alle radici. Chi non ha radici non ha futuro!



Insomma, certa gente non capisce un cazzo e più o meno questo desiderio di vedere i pulcinella e le colombine ha ispirato il committee dell'oscar a tributare a questa merdata l'ambito premio. Volevano pulcinella e un terrone li ha accontentati. Forse l'unica cosa per cui questo film verrà ricordato dopo l'olocausto nucleare è quel fotogramma dove si intravede un deludente capezzolo di quella vacca di sabrina ferilli -- sì, quella macchietta che promise di spogliarsi nuda se la roma vinceva lo scudetto e poi non l'ha fatto; che pezzente com'è forse si farà aiutare a chiamare la polizia postale per far chiudere questo blog.

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